La ragione sta tutta nel metodo.
Gli astronomi precedenti (Beer e Maedler, Kaiser, Lockyer, Proctor tanto per ricordarne qualcuno) avevano fondato la loro cartografia “quasi eclusivamente sopra disegni fatti a vista d’occhio”.
Schiaparelli, invece, applica allo studio e alla mappatura di Marte i metodi cartografici appresi negli studi da ingegnere. E infatti così scrive: “Volendo fondare la topografia di Marte su basi esatte, conviene seguire lo stesso principio, che si usa per la topografia terrestre. Un certo numero di punti distinti e facili a riconoscere, distribuiti con la maggior possibile uniformità su tutta la superficie del pianeta, si prende come rete fondamentale e si cerca di ottenerne la posizione con la massima esattezza. Tra questi poi s’interpolano le linee del tracciamento ed i minuti particolari a semplice estimazione d’occhio”.
Le sue mappe, quindi, sono molto più precise, nitide e ricche di particolari.
Ecco la mappa di Maedler e Beer (1841):
Ecco la mappa di Schiaparelli del 1878:
Qui uno dei tanti planisferi di Marte conservati in archivio:
Crediti: Archivio Biblioteca Osservatorio Astronomico di Brera
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